Piano Casa: in arrivo 600 milioni e il rent to buy.

Il Piano Casa è tornato al centro dell’agenda politica italiana, questa volta con numeri e obiettivi più chiari. A illustrarli è stato il ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, Matteo Salvini, intervenendo a Porta a Porta: per il Piano Casa, ha dichiarato, sono previsti 600 milioni di euro in tre anni, con risorse già a bilancio per il 2026, 2027 e 2028. L’obiettivo dichiarato è intervenire su oltre centomila appartamenti tra edilizia popolare, residenziale pubblica e sociale, riportando sul mercato alloggi oggi non utilizzabili o in condizioni inadeguate.
Si tratta, quindi, di un Piano Casa che punta anzitutto a riqualificare patrimonio esistente, non solo a costruire nuovo. In un Paese in cui convivono contemporaneamente carenza di alloggi a prezzi accessibili e milioni di abitazioni vuote o sottoutilizzate, questa scelta non è neutra: indica la volontà di agire sull’offerta “bloccata” o degradata, provando a riportare in circolo metri quadri già costruiti, spesso in contesti urbani consolidati.
Accanto alla dimensione più tradizionale dell’edilizia sociale, il ministro ha esplicitamente indicato una seconda direttrice del Piano Casa: la fascia media, in particolare i giovani che non rientrano nei criteri per le case popolari ma non possono permettersi i prezzi del libero mercato, né di acquisto né di affitto. L’obiettivo dichiarato è avere entro il 2027 almeno un progetto pilota in ogni regione rivolto proprio a questo segmento intermedio, oggi di fatto il più esposto all’aumento dei canoni e dei valori immobiliari senza avere strumenti adeguati per affrontarlo.
In questo quadro entra la scelta di puntare in modo esplicito sul rent to buy. Salvini ha descritto il meccanismo come una formula in cui l’affitto non è “a vuoto”, ma in parte viene imputato a scalare sul prezzo finale di acquisto dell’immobile. L’idea è semplice: un giovane di venticinque anni difficilmente ha le garanzie patrimoniali o reddituali che una banca richiede per accendere un mutuo; un contratto di godimento con opzione di acquisto, invece, consente di iniziare a vivere nella casa, pagare un canone, e maturare nel tempo una sorta di “anticipo” che verrà detratto dal prezzo nel momento in cui si deciderà di comprare.
Il rent to buy, in altre parole, prova a colmare il vuoto tra il mercato della locazione pura e quello dell’acquisto tradizionale. Se ben strutturato – e sorretto da garanzie chiare per entrambe le parti – può diventare uno strumento interessante per giovani coppie e famiglie in ingresso nel percorso abitativo, soprattutto in contesti dove i prezzi di vendita sono alti e il capitale iniziale richiesto rappresenta una barriera quasi insormontabile.
Sul piano finanziario, il nodo non riguarda solo le risorse pubbliche. In più occasioni, anche in altri interventi pubblici, Salvini ha richiamato il ruolo del sistema bancario, sottolineando che una parte degli utili del settore potrebbe alimentare il Piano Casa, ad esempio anticipando al 2026 risorse che nella programmazione iniziale decorrono dal 2027. Questo richiama un tema ricorrente nelle politiche abitative contemporanee: l’abitare non può più essere considerato solo una voce di spesa pubblica, ma una infrastruttura sociale che richiede un mix calibrato di capitali pubblici, privati e istituzionali.
Il discorso sulla casa, però, non si ferma ai confini nazionali. Nelle stesse settimane, anche a livello europeo il tema è stato esplicitamente indicato come prioritario. Raffaele Fitto, intervenendo all’assemblea della CNA, ha definito la questione abitativa “una priorità assoluta” per l’Unione, annunciando il primo piano europeo per le case a prezzi accessibili, pensato in particolare per le giovani coppie come risposta a una crisi abitativa ormai strutturale in molte città europee.
Questa convergenza tra iniziativa nazionale e iniziativa europea non è solo una coincidenza di calendario. L’Unione sta ragionando su strumenti comuni per sostenere l’edilizia accessibile, mentrein Italia si prova a rilanciare un Piano Casa dopo decenni in cui il tema è rimasto frammentato tra incentivi fiscali, superbonus, edilizia popolare in affanno e un mercato privato sempre più polarizzato. Se le due direttrici – nazionale ed europea – sapranno dialogare, la leva di spesa moltiplicata potrà essere significativa; se invece resteranno due binari paralleli, il rischio è di avere annunci ambiziosi ma impatto limitato sul territorio.
Per l’Osservatorio Italiano dell’Abitare, alcune domande restano centrali. La prima riguarda l’effettiva capacità di questi 600 milioni, distribuiti su tre anni, di incidere realmente su oltre centomila appartamenti tra edilizia popolare e sociale, non solo con interventi di facciata ma con riqualificazioni in grado di produrre alloggi dignitosi, efficienti dal punto di vista energetico e realmente assegnabili in tempi certi. La seconda riguarda l’implementazione concreta del rent to buy: quali garanzie avranno gli inquilini, quali regole saranno fissate per i canoni, quale sarà il ruolo di enti pubblici, fondi immobiliari e operatori privati nella gestione dei progetti pilota.
C’è poi una terza questione, più di fondo: il coordinamento tra politiche per l’edilizia sociale, misure per la fascia media e regolazione del mercato privato degli affitti. In Italia il disagio abitativo non riguarda più soltanto le fasce più fragili, ma una parte crescente del ceto medio urbano, e le politiche di settore dovranno evitare di produrre competizione tra segmenti, privilegiando una logica di filiera: dalle case popolari all’housing sociale, fino alle formule intermedie come il rent to buy e le locazioni a canone concordato.
In questo contesto, il Piano Casa annunciato dal governo e il futuro piano europeo per le case a prezzi accessibili rappresentano due tasselli di un quadro in evoluzione. È su questo terreno che si giocherà la credibilità delle nuove politiche dell’abitare.

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